Oggigiorno l’esempio tipico di paesaggio di campagna nelle Marche, quello che si identifica negli sfondi dei ritratti dei duchi di Montefeltro dipinti da Piero della Francesca o negli affreschi di Raffaello, lo si ritrova risalendo le colline dal mare Adriatico,
che lasciamo alle spalle, oltre la sequela di edifici cresciuti senza regole urbanistiche a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso lungo la costa e ci immergiamo subito in ciò che a Leopardi suscitò l’idea di infinito, ovvero un paesaggio di campagna dove l’occhio si perdeva tra i chiaroscuri delle colline al tramonto, al punto che era impossibile contarle. Un paesaggio che, a differenza del litorale, non si è modificato di molto.
Diceva ancora Leopardi: “ Trista è quella vita che non vede, non ode, non sente che oggetti semplici, quelli solo di cui gli occhi, gli orecchi e gli altri sentimenti ricevono la sensazione.”
Felici coloro che s’immergono, possiamo aggiungere, in una dimensione spazio/tempo che trascende il metafisico, perché viaggiare da nord a sud in questi paesaggi di campagna magici, abbandonando per qualche giorno la cartina geografica o il navigatore digitale, lasciandosi guidare soltanto dalla morfologia del territorio, dalle sue dolci curve, dai suoi saliscendi, da aperture e scorci improvvisi e sorprendenti di luoghi mai veduti prima che quasi ne veniamo storditi, ed ecco allora che subito ci affidiamo per un attimo, come per ritrovare la bussola, a coloro che ne trassero materia narrativa o fonte d’ispirazione artistica, perché la nostra percezione sensoriale si dilata : è il perdersi leopardiano nell’altro mare, quello verde, dove è altrettanto possibile naufragare.
Nel passato i viaggiatori giungevano nelle Marche anche a piedi: Johann Gottfried Seume, descrive così il paesaggio della campagna attorno a Recanati e Loreto: “Le contrade sono un paradiso di fertilità e gli angeli sono assai giudiziosi perché, non potendo lasciare la casetta nella Terra promessa, dalla Dalmazia la portarono per aria fino a qui.” Mentre Urbino con il suo “Castello di Atlante” ( Il Palazzo Ducale) fa venire in mente gli antichi percorsi trasversali della penisola che un tempo riunivano signorie e principati, a volte pare di scorgere il duca Federico a cavallo, nella sua armatura, accompagnato dal suo esercito di cavalieri che risalgono la collina di ritorno da qualche battaglia o mediazione politica. Eccezionali testimoni, ma in carrozza stavolta, furono Montaigne, Deseine, Stendhal, Goethe o Mommsen il quale, giunto ad Ancona, vi respira il clima cosmopolita del porto franco, dove si trovano ebrei, schiavoni, greci, turchi, unico luogo in Italia secondo lui dove a quei tempi “ il forestiero non viene guardato a bocca aperta”.
Ancona e il suo territorio soprattutto è l’unico punto in cui mare verde e mare azzurro si toccano, grazie al monte che ha appena alle sue spalle, intonso spazio reso prezioso dalle leggi del parco regionale.
Girano leggende di ogni tipo attorno a questo luogo vagamente magico, alter ego della Sibilla, da cui prendono il nome i monti Azzurri, ovvero i Sibillini.
In entrambi è bello perdersi. Salendo sulla cima del Conero si può scorgere da un lato le coste della Croazia, dall’altro tutta la regione Marche fino ai monti.
“ L’identità è un dono sociale” dice Galimberti “ è il frutto del riconoscimento”. Se è così possiamo dire che le Marche assumono vera coscienza di sé solo ultimamente, grazie ad una portentosa volontà di mostrarsi al mondo intero, attraverso il suo paesaggio, ulteriore propulsore economico e sociale della regione, perché i suoi abitanti si sentono davvero parte del territorio e se ne identificano al punto che molti avvertono una leggera nostalgia quando se ne allontanano.
I marchigiani sono parte del loro paesaggio di campagna , l’uno e l’altro si compenetrano, sono il frutto di una costruzione socioculturale, nascono e crescono assieme. Ma anche chi viene qua per la prima volta e lo guarda, lo vive, lo riconosce subito come proprio: nasce una familiarità che diventa a tratti sorprendente. Ciò crea sicurezza e dona creatività, “ perché la bellezza – diceva Gregorio Leto – affina i cervelli.”
Un tale paradiso però rischia di essere toccato dall’Uomo che, come sempre, non ha affinità con la bellezza e con la storia di questa terra. La vorrebbe anzi univoca, facente parte del panorama internazionale senza pensare che è proprio questa sua peculiare caratteristica, anche formale, anche architettonica, a salvaguardarla dal tempo. Questa mescolanza di culture è assolutamente buona tranne quando si rischia di dimenticare la propria, e questo sarebbe disastroso per quel paesaggio che finora è riuscito a salvarsi.
Il Monte Conero, dove mare verde e mare azzurro si toccano
Casale dell’Angelo, Un casolare immerso in una stupenda campagna attorno a Jesi
Perdere la propria identità culturale è quanto di meno auspicabile ai nostri giorni, dove il mondo sta diventando un immenso melting pot di tradizioni e stili. Si dimenticano quegli elementi di bellezza e semplicità che ci hanno contraddistinto finora e per la quale ancora oggi milioni di turisti sbarcano nel nostro paese in generale. Li si relegano in una sorta di museo a cielo aperto, una disneyland con le comparse (vedi a Roma i centurioni) , si stravolgono edifici per adeguarli ad un respiro più giovane ed internazionale, senza pensare che tra qualche anno, quando tutto sarà uguale a tutto, navigheremo solo nella noia. Una amechania culturale e agriculturale senza più radici, né fusto.