La nostra vita è contenuta in una forma, noi stessi abitiamo una forma, ovvero il nostro corpo che gli antichi testamentari non separavano dalla mente e dal cuore come invece usiamo oggi ( Leb, Nefes, Ruah, Basar).I greci la chiamavano Psiché, Anima. Forma e sostanza, come ne è permeato tutto il mondo. (io non ho Anima, io sono Anima!)
Recupero e arredo – Casale sui colli di Staffolo (Arch. Sergio Marinelli)
Noi siamo come dei recipienti nella quale si contiene la vita intera e da cui si rende visibile la nostra cultura, ciò che siamo. Un romanzo di Somerset Maugham o di Michela Murgia contiene altre forme: un bicchiere sbeccato pieno di wiskey, o un pecorino sardo che altro non è che la forma di un latte dopo che il tempo ha compiuto il suo Opus, la sua opera, per divenire ciò che è.
” Ti trovo in ottima forma” si usa dire, l’ umanità si con/forma e si identifica in queste descrizioni, mentre facciamo scorrere l’ acqua dal rubinetto e la conteniamo in una brocca oppure la versiamo da una bottiglia di plastica o di vetro.
I vestiti coprono la nostra forma e il modo di vestire è una volontà di distinzione e di separazione dall’altro, come è giusto che sia, ci rende anche riconoscibili, leggibili ma anche riparano e nascondono. Il mondo intero è pieno di contenuti, l’Uomo non fa altro che recipientare, separare per poi di nuovo coniugare e accogliere. Usiamo anche dire che “la casa è il prolungamento della nostra anima“, “immagine e somiglianza di chi la abita“.
Si opera il processo di distinzione: arredare significa espandere il proprio sé, pur tra quattro mura, dove L’Uomo possa svolgere la propria vita anche nella ripetizione di gesti quotidiani. Nell’ arredo ci rivolgiamo a professionisti come architetti o designers, che rappresentino al meglio il nostro linguaggio performante e in simbiosi con il nostro tempo affannato, dunque lo stile del momento, senza riflettere sulle differenze, attirati dall’estetica senza contenuti.
Ed ecco che la concettualizzazione dell’ abitare si fa portavoce delle nostre nevrosi, metafora del mondo che viviamo e da cui vorremo fuggire, ingentiliamo la nostra casa apportando contenuti operati da altri, magari in velocità (sono stati grandi! Hanno fatto tutto in poco tempo!) ed ecco lo scaturire di stili: essenziale, pulito, luminoso, razionale, etnico, romantico, elegante. Concetti che prendono spazio in un tempo sempre più vuoto e nichilista, assumono vita propria pensando di riempire la nostra.
Ma che cos’è l ‘arredo se non un linguaggio? E perchè se nel mondo esistono infiniti linguaggi, che variano da paese a paese, per non parlare dei dialetti, che rappresentano la storia e la cultura, ovvero i contenuti del recipiente, la nostra Psyché, perché allora dobbiamo parlare, nello stile di una casa, in linguaggi tutti uguali, con materiali tutti uguali? Perché non si rispetta il linguaggio di un territorio consegnandoci a forme e sostanze che provengono da luoghi estranei?
“Vogliamo arredare con un certo feeling” si sente spesso dire, senza pensare che non c’è più niente di estemporaneo di questa parola, nulla rimane, tutto si decompone in fretta, inclusi i nostri progetti, le nostre vite. Ma perché qualcosa rimanga bisogna mettersi in testa che la fretta è cattiva consigliera. La fretta è opera del diavolo , dicevano i nostri avi. Le buone sostanze cucinano a fuoco lento, altrimenti si bruciano. Il distinguo è opera del tempo.